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Al fine di assicurare che gli ulteriori aumenti della temperatura non superino 0,1° ogni dieci anni e che il livello del mare non si innalzi di più di 2 cm ogni decennio (in base ai limiti provvisori ipotizzati per la sostenibilità) sarebbe necessario che i paesi industrializzati riducessero le emissioni dei gas a effetto serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto e vari composti alogenati) almeno del 30-55% entro il 2010 rispetto ai livelli del 1990.
Tali riduzioni superano di gran lunga l'impegno assunto dai paesi sviluppati, in occasione della terza Conferenza di Kyoto dei partecipanti alla Convenzione quadro sul cambiamento del clima del dicembre 1997, di diminuire dell'8% le emissioni dei gas a effetto serra nella maggior parte dei paesi europei entro il 2010, rispetto ai livelli del 1990. Alcuni dei PECO si sono impegnati a diminuire le emissioni dei gas a effetto serra di percentuali comprese fra il 5% e l'8% nel 2010 rispetto ai valori del 1990, mentre la Federazione Russa e l'Ucraina si sono impegnate a stabilizzare i livelli del 1990.
Resta ancora incerto se l'UE riuscirà a raggiungere l'obiettivo iniziale della UNFCCC fissato nel 1992, di stabilizzare le emissioni di anidride carbonica (il principale gas a effetto serra) entro il 2000 ai livelli del 1990, visto che per l'anno 2000 si prevede un aumento fino al 5% rispetto ai livelli del 1990. Inoltre in contrasto con l'obiettivo fissato a Kyoto di una riduzione dell'8% delle emissioni dei gas ad effetto serra nel 2010 (per un "paniere" di 6 gas, tra i quali l'anidride carbonica), le più recenti stime della Commissione europea, basate sull'andamento attuale (pre-Kyoto), indicano un aumento dell'8% delle emissioni di anidride carbonica fra il 1990 e il 2010 con un incremento massimo (pari al 39%) nel settore dei trasporti.
Benché non sia stata ancora accolta la proposta relativa all'introduzione di una delle misure fondamentali a livello comunitario, ossia l'introduzione di una tassa energia/CO2, alcuni paesi dell'Europa occidentale (l'Austria, la Danimarca, la Finlandia, i Paesi Bassi, la Norvegia e la Svezia) hanno già adottato misure fiscali di questo tipo. Vi è inoltre la possibilità di intervenire ulteriormente al fine di ridurre le emissioni di CO2. Tra i possibili interventi a tal fine, alcuni dei quali in via di adozione in vari paesi europei e nell'UE, ricordiamo i programmi a favore dell'efficienza energetica, la diffusione di impianti di cogenerazione, il passaggio dall'impiego del carbone all'uso di gas naturale e/o legna, misure a favore del trasporto multimodale e interventi che favoriscono l'assorbimento dell'anidride carbonica attraverso la riforestazione.
Il consumo energetico, in cui predomina l'impiego dei combustibili fossili, costituisce il fattore determinante nelle emissioni di anidride carbonica. In Europa occidentale le emissioni di anidride carbonica derivanti da combustibili fossili sono diminuite del 3% fra il 1990 e il 1995 a causa della recessione economica, della ristrutturazione del settore industriale in Germania e del passaggio dal carbone al gas naturale nella produzione di elettricità. I prezzi dell'energia nell'Europa occidentale nel corso degli ultimi 10 anni sono rimasti stabili e piuttosto bassi rispetto all'andamento tradizionale, fornendo così un debole incentivo a migliorare l'efficienza. L'intensità di energia (pari al consumo energetico finale per unità di PIL) è diminuita soltanto dell'1% all'anno rispetto al 1980.
I modelli di consumo energetico sono notevolmente cambiati fra il 1980 e il 1995. Il consumo energetico ha fatto registrare un incremento del 44% nel settore dei trasporti, una riduzione dell'8% nel settore industriale, mentre il consumo di altri combustibili è aumentato del 7%. Questi dati riflettono principalmente la crescita del trasporto su gomma e l'abbandono dell'industria pesante ad alta intensità di energia. In totale i consumi energetici sono aumentati del 10% fra il 1985 e il 1995.
Il contributo dell'energia nucleare all'approvvigionamento energetico totale in Europa occidentale è passato dal 5 al 15% tra il 1980 e il 1994. La Svezia e la Francia dipendono dal nucleare per circa il 40% del proprio fabbisogno energetico totale.
In Europa orientale le emissioni di anidride carbonica dovute all'impiego di combustibili fossili sono diminuite del 19% tra il 1990 e il 1995, soprattutto a causa della ristrutturazione economica. Nello stesso periodo il consumo energetico nel settore dei trasporti ha subito un calo pari al 3% nei PECO e al 48% nei NSI. Il consumo energetico nel settore industriale si è ridotto del 28% nei PECO e del 38% nei NSI. I valori dell'intensità di energia nei PECO sono di circa tre volte superiori rispetto a quelli dell'Europa occidentale e quelli dei NSI probabilmente di cinque volte superiori. Vi sono pertanto notevoli possibilità di intervenire a favore del risparmio energetico. Stime basate sull'andamento attuale prevedono che nel 2010 il consumo energetico sarà diminuito dell'11% rispetto al 1990 nei NSI e aumentato del 4% rispetto al 1990 nei PECO.
Il contributo dell'energia nucleare è passato dal 2 al 6% nei NSI e dall'1 al 5% nei PECO tra il 1980 e il 1994. In Bulgaria, Lituania e Slovenia, l'energia nucleare copre circa un quarto del fabbisogno energetico totale.
Le emissioni di gas metano nei PECO e nei NSI sono diminuite del 40% fra il 1980 e il 1990. È tuttavia possibile riuscire a ridurre ulteriormente i livelli in tutta Europa, intervenendo in particolare nei settori dei sistemi di distribuzione del gas e dell'estrazione del carbone. Si potrebbe inoltre riuscire ad ottenere un abbattimento delle emissioni di protossido di azoto nel settore industriale e la riduzione dell'impiego di fertilizzanti inorganici.
Le emissioni di CFC hanno subito un rapido calo rispetto ai livelli massimi a seguito della progressiva cessazione della produzione e uso di queste sostanze. Tuttavia l'impiego e l'emissione dei loro sostituti, gli idroclorofluorocarburi (che sono anch'essi gas a effetto serra), sono in aumento, così come altri gas a effetto serra recentemente identificati, quali gli SF6, HFCs e PFCs, che fanno parte di un "paniere" di gas per i quali sono stati stabiliti obiettivi di riduzione alla conferenza di Kyoto.
Le misure internazionali adottate al fine di proteggere la fascia di ozono hanno determinato la riduzione della produzione annua di sostanze distruttive dell'80-90% rispetto ai valori massimi. Anche i livelli annui di emissione sono calati rapidamente. Tuttavia, i tempi di recupero nei processi atmosferici sono tali da non consentire ancora di riscontrare effetti delle misure adottate a livello internazionale né sulle concentrazioni di ozono nella stratosfera né sulla quantità di radiazione ultravioletta B (UV-B) che raggiunge la superficie terrestre.
Si prevede che il potenziale distruttivo dell'ozono e di tutti i derivati del cloro e del bromo (CFC, alon, ecc.) nella stratosfera raggiungerà l'apice fra il 2000 e il 2010. Lo strato di ozono nell'atmosfera al di sopra dell'Europa è diminuito del 5% fra il 1975 e il 1995 e ciò ha determinato un aumento della radiazione UV-B che penetra negli strati inferiori dell'atmosfera e raggiunge la superficie terrestre.
Recentemente sono state osservate ampie riduzioni localizzate della concentrazione di ozono stratosferico sopra le regioni artiche in primavera. Per esempio, la quantità totale di ozono sopra il Polo Nord è diminuita del 40% rispetto al livello normale nel marzo 1997. Tali riduzioni sono simili, anche se meno pronunciate, di quelle riscontrate al di sopra delle regioni antartiche e pongono con urgenza la necessità di mantenere l'attenzione politica sulla distruzione della fascia stratosferica di ozono.
La ricostituzione della fascia di ozono, che richiederà molti decenni, potrebbe essere accelerata da una più rapida cessazione dell'impiego di HCFC e bromuro di metile, provvedendo alla distruzione con metodi sicuri dei CFC e alon nei luoghi di stoccaggio e impedendo il contrabbando di sostanze che distruggono l'ozono
Rispetto ai dati presenti nella valutazione Dobris è stato registrato un calo degli effetti dei depositi acidi dovuti alle emissioni di anidride solforosa, ossidi di azoto e ammoniaca nelle acque dolci e un parziale recupero della fauna invertebrata in molte aree. La vitalità di numerose foreste continua tuttavia ad essere in diminuzione. Benché le cause primarie del danno potrebbero non essere necessariamente riconducibili all'acidificazione, ad esso potrebbero tuttavia contribuire anche gli effetti a lungo termine dei depositi acidi nel suolo. Nelle aree più colpite l'acidificazione determina l'aumento della mobilità dell'alluminio e dei metalli pesanti con conseguente inquinamento delle acque sotterranee.
I depositi di sostanze acidificanti si sono ridotti a partire allincirca dal 1985. Continuano tuttavia ad essere superati i carichi critici (i livelli di deposito al di sopra dei quali sono prevedibili effetti dannosi a lungo termine) in circa il 10% del territorio europeo, prevalentemente nell'Europa settentrionale e centrale.
L'emissione di anidride solforosa si è ridotta del 50% in Europa nel periodo compreso fra il 1980 e il 1995. Le emissioni totali di azoto (ossidi di azoto e ammoniaca), rimaste sostanzialmente costanti fra il 1980 e il 1990, hanno subito un calo di circa il 15% fra il 1990 e il 1995; le riduzioni più consistenti sono state registrate nei PECO e nei NSI.
Il settore dei trasporti è diventato la principale fonte di emissioni di ossidi di azoto, contribuendo nella misura del 60% alle emissioni totali nel 1995. Fra il 1980 e il 1994 il trasporto merci su strada ha fatto registrare un incremento del 54%; fra il 1985 e il 1995 il trasporto passeggeri su strada è aumentato del 46% e il trasporto passeggeri via aerea è aumentato del 67%.
In Europa occidentale l'introduzione della marmitta catalitica ha determinato la diminuzione delle emissioni derivanti dal settore dei trasporti. Tuttavia, gli effetti di tali misure sono alquanto rallentati dal basso tasso di turnover del parco auto. Si ritiene che riduzioni più consistenti potrebbero essere ottenute tramite l'adozione di misure fiscali relative ai combustibili e agli autoveicoli.
Nei PECO e nei NSI vi è un significativo potenziale di crescita del trasporto privato ma anche un ampio spazio di intervento per migliorare l'efficienza energetica nel settore dei trasporti in generale.
Le misure politiche volte a combattere l'acidificazione hanno determinato risultati soddisfacenti solo in parte:
Per il 1999 dovrebbe essere pronto un protocollo di vasta portata in cui ci si propone di fissare limiti più rigorosi a livello nazionale per le emissioni di sostanze acidificanti e di composti organici volatili (COV) diversi dal metano assicurandone l'efficacia dei costi.
Nell'UE sono in via di elaborazione ulteriori misure volte a consentire di raggiungere l'obiettivo a lungo termine fissato per le emissioni di zolfo nel secondo protocollo CLRTAP, che comprendono fra l'altro, conformemente a quanto previsto nel 5PAA, la riduzione del tenore di zolfo nei prodotti petroliferi, il contenimento delle emissioni dei grandi impianti di combustione e la fissazione di limiti di emissione per gli autoveicoli. È attualmente all'esame, nell'ambito della strategia dell'UE sull'acidificazione, l'obiettivo provvisorio di una riduzione del 55% delle emissioni di ossidi di azoto fra il 1990 e il 2010. Per raggiungere un tale obiettivo occorrerà concentrare in particolare gli sforzi nel settore dei trasporti.
Area totale di superamento della soglia di carico critico
per lo zolfo e l'azoto
Fonte: EMEP/MSC/W e CCE
Le concentrazioni dell'ozono nella troposfera (ossia nella fascia di atmosfera compresa fra la superficie terrestre fino a 10-15 km di altitudine) al di sopra dell'Europa superano in generale di tre o quattro volte i livelli dell'era preindustriale, principalmente a causa del notevole aumento delle emissioni di ossidi di azoto provenienti dall'industria e dai veicoli registrato a partire dagli anni cinquanta. A causa della variabilità meteorologica annuale è impossibile individuare tendenze nella frequenza con cui ricorrono episodi di elevata concentrazione di ozono.
Le concentrazioni soglia fissate al fine di tutelare la salute umana, la vegetazione e gli ecosistemi vengono frequentemente superate nella maggior parte dei paesi europei. Si calcola che circa 700 ricoveri ospedalieri all'interno dell'UE effettuati nel periodo marzo-ottobre 1995 (75% dei quali in Francia, Italia e Germania) potrebbero essere dovuti al superamento dei valori di soglia per la protezione della salute nella concentrazione di ozono. Secondo le stime sono 330 milioni le persone nell'UE che ogni anno potrebbero essere esposte almeno una volta ad una concentrazione di ozono superiore al limite fissato.
Nel 1995 la soglia di protezione per la vegetazione è stata superata nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea. In numerosi paesi sono stati registrati valori superiori ai limiti fissati per più di 150 giorni in determinati siti. Nello stesso anno la soglia di protezione è stata superata quasi nell'intera superficie boschiva e di seminativi del territorio dell'UE.
Le emissioni dei più importanti precursori dell'ozono, degli ossidi di azoto e dei composti organici volatili (COV) hanno continuato ad aumentare fino alla fine degli anni ottanta per poi diminuire del 14% fra il 1990 e il 1994. Il settore dei trasporti è la principale fonte di emissioni sia di ossidi di azoto che di COV in Europa occidentale, mentre nei PECO e nei NSI l'industria continua a contribuire in misura preponderante.
Il raggiungimento degli obiettivi fissati per le emissioni di ossidi di azoto nella Convenzione sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza nel Quinto programma d'azione ambientale consentirebbe di ridurre le concentrazioni massime di ozono soltanto in misura del 5-10%. Al fine di rispettare l'obiettivo a lungo termine di non superare i livelli di soglia è indispensabile riuscire a ridurre le concentrazioni di ozono troposferico. Ciò, a sua volta, richiederà l'introduzione di misure volte a contenere le emissioni degli inquinanti precursori (ossidi di azoto e COV) che dovranno essere attuate in tutto l'emisfero settentrionale. Un primo passo in questa direzione sarà quello di stabilire ulteriori valori limite a livello nazionale ai sensi del nuovo protocollo.
Fonte: AEA-ETC/AQ
E stata registrata una crescita costante dell' industria chimica in Europa occidentale nel periodo successivo alla valutazione di Dobris e, dal 1993, la produzione è cresciuta a ritmi più rapidi rispetto al PIL. Nei PECO e nei NSI, invece, la produzione ha subito un netto calo a partire dal 1989, in linea con la caduta del PIL. A partire dal 1993, tuttavia, in alcuni di questi paesi si è assistito ad una parziale ripresa della produzione chimica. Il risultato finale è un aumento generalizzato del flusso dei prodotti chimici in Europa.
Pur disponendo di dati insufficienti sulle emissioni, si può affermare che la presenza di prodotti chimici è ampiamente diffusa a tutti i livelli degli ecosistemi, compresi i tessuti animali e umani. L'Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti comprende oltre 100.000 composti chimici. Il grado di pericolosità di molti di questi prodotti chimici continua ad essere difficilmente valutabile a causa della mancanza di conoscenze sulle loro concentrazioni e sui modi in cui essi circolano e si accumulano nell'ambiente con conseguenti effetti sull'organismo umano e su altre forme di vita.
Alcune informazioni, tuttavia, sono già disponibili, per esempio a proposito dei metalli pesanti e degli inquinanti organici persistenti (POP). Benchè le emissioni di alcune di queste sostanze siano in diminuzione, le concentrazioni nell'ambiente restano a livelli allarmanti, soprattutto in aree altamente contaminate come il Mare Artico e il Mar Baltico. Anche se è già stata decisa la graduale cessazione dell'impiego di alcuni POP, molte sostanze aventi proprietà analoghe continuano ad essere prodotte in quantità consistenti.
Recentemente è stato lanciato l'allarme a proposito dei cosiddetti "disgregatori endocrini", ossia alcuni composti organometallici e inquinanti persistenti che si ritiene possano determinare alterazioni delle funzioni riproduttive degli organismi animali e umani. Benchè tali effetti siano stati documentati sulla fauna marina, i dati empirici sono ancora insufficienti per stabilire un collegamento causale fra l'esposizione alle sostanze chimiche in questione e le possibili alterazioni delle funzioni riproduttive negli esseri umani.
A causa della difficoltà e dei costi elevati di valutazione della tossicità del gran numero di sostanze chimiche potenzialmente pericolose attualmente in uso, soprattutto di quelle che potrebbero avere effetti di tipo neurotossicologico e agire sull'apparato riproduttivo, alcune delle strategie di controllo recentemente introdotte - come quella adottata nella Convenzione OSPAR sulla protezione del Mare del Nord - si propongono di ridurre il "carico" di sostanze chimiche nell'ambiente attraverso la cessazione o il contenimento del loro impiego e delle relative emissioni. Nel quadro della Convenzione sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza programmata per il 1998 la Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite dovrebbe mettere a punto due nuovi protocolli sulle emissioni atmosferiche di tre metalli pesanti e di 16 composti inquinanti persistenti.
Dopo la valutazione di Dobris sono state avviate alcune nuove iniziative a livello nazionale e internazionale volte a ridurre il possibile impatto dei prodotti chimici sull'ambiente, fra i quali figurano programmi volontari di riduzione, l'introduzione di imposte su determinati prodotti chimici e il pubblico accesso a dati analoghi a quelli raccolti nel Toxic Release Inventory degli Stati Uniti, come previsto per esempio dalla direttiva dell'UE sulla prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento. È ancora possibile estendere l'attuazione di tali strumenti a tutta l'Europa.
Riduzione delle emissioni di piombo contenuto nella
benzina, 1990-1996
Fonte: EPA Danese
In base ai dati disponibili, la produzione di rifiuti nei paesi europei membri dell'OCSE è aumentata di circa il 10% fra il 1990 e il 1995. Tuttavia, l'evidente incremento registrato potrebbe essere almeno in parte riconducibile all'impiego di sistemi più efficienti di monitoraggio e documentazione dei rifiuti. La mancanza di armonizzazione e le lacune nel rilevamento dei dati rendono difficile seguire con precisione l'andamento e predisporre interventi strategici più mirati nella politica di gestione dei rifiuti.
Si calcola che la produzione di rifiuti urbani sia aumentata dell'11% nei paesi europei membri dell'OCSE fra il 1990 e il 1995. Nel 1995 sono state prodotte circa 200 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, pari a 420 kg pro capite all'anno. I dati sulla produzione di rifiuti urbani disponibili per i PECO e i NSI non sono sufficienti a consentire di delineare la tendenza di base in questo settore.
La Germania e la Francia sono risultati al primo posto fra i paesi europei dell'OCSE presi in esame nella produzione annua di rifiuti pericolosi nel periodo intorno al 1994, che ha raggiunto all'incirca 42 milioni di tonnellate. La Federazione russa ha contribuito per circa due terzi agli oltre 30 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi prodotti ogni anno nell'intera Europa orientale all'inizio degli anni novanta. Le cifre totali riportate sono soltanto indicative, date le differenze nella definizione dei dati.
Nella gestione dei rifiuti nella maggior parte dei paesi continua a risultare prevalente il ricorso all'opzione più economica fra quelle disponibili, ossia lo smaltimento in discarica. Va tuttavia fatto rilevare che nel calcolo dei costi dello smaltimento in discarica raramente vengono inclusi i costi totali (i costi di chiusura, per esempio, non vengono quasi mai considerati), nonostante alcuni paesi (fra i quali l'Austria, la Danimarca e il Regno Unito) abbiano introdotto imposte sui rifiuti. Si va facendo strada la consapevolezza che nella gestione dei rifiuti la prevenzione e la riduzione al minimo dei rifiuti rappresentano soluzioni preferibili dal punto di vista ambientale. Tutte le fasi di trattamento dei rifiuti, in particolare dei rifiuti pericolosi, dovrebbero trarre vantaggio dall'ulteriore diffusione di tecnologie più pulite e di misure di prevenzione dei rifiuti. Il riciclaggio si va estendendo nei paesi che possono contare su infrastrutture di gestione dei rifiuti ben organizzate.
Molti dei PECO e dei NSI devono far fronte ai problemi derivanti dalle conseguenze della precedente gestione inadeguata dei rifiuti e dall'aumento della produzione. La gestione dei rifiuti in questi paesi deve essere sottoposta ad una più efficiente pianificazione strategica e ricevere maggiori investimenti. Fra gli interventi prioritari in questo ambito vi è l'adozione di sistemi di smaltimento dei rifiuti urbani più efficienti attraverso la raccolta differenziata, una migliore gestione delle discariche, l'introduzione di iniziative di riciclaggio a livello locale e l'attuazione di misure a basso costo per prevenire la contaminazione del suolo.
L'UE, nel rispetto degli impegni assunti a favore dell'uso sostenibile delle risorse, della riduzione al minimo dei danni ambientali, nonché del principio "chi inquina paga" e del "principio di prossimità", ha introdotto una vasta gamma di strumenti legislativi volti a promuovere e armonizzare la legislazione nazionale in materia di rifiuti. Alcuni dei Paesi dell'Europa centrale hanno iniziato ad adottare un approccio simile, favorito anche dal processo di adesione all'UE. Tuttavia la legislazione sui rifiuti resta tuttora carente nella maggior parte dei PECO e dei NSI.
Quota dei paesi che dispongono di strumenti di politica di gestione dei rifiuti
Fonte: AEA
In Europa le specie selvatiche continuano ad essere gravemente minacciate ed è in aumento il numero di specie in via di estinzione. In molti paesi fino al 50% delle specie note di vertebrati è in pericolo.
Oltre un terzo dell'avifauna in Europa risulta minacciata di estinzione, in particolare nell'Europa nordoccidentale e centrale. Ciò è dovuto principalmente all'alterazione dei loro habitat provocata dal cambiamento di destinazione duso dei terreni, principalmente a seguito della diffusione dell'agricoltura e della silvicoltura intensive, del crescente sviluppo delle infrastrutture, di prelievo dell'acqua e dell'inquinamento.
Sono in aumento le popolazioni di specie animali connesse ad attività umane, nonché di specie vegetali in grado di tollerare livelli elevati di nutrienti o di acidità. Nelle aree in cui viene praticata l'agricoltura biologica è stata inoltre osservata la ricomparsa di una serie di uccelli nidificanti. L'introduzione di specie non indigene determina problemi negli habitat marini, terrestri e nelle acque interne.
Il prosciugamento delle zone umide è particolarmente grave nell'Europa meridionale, ma si registrano perdite importanti anche in numerose aree agricole e urbanizzate dell'Europa nordoccidentale e centrale. Le principali cause sono interventi di bonifica, inquinamento, drenaggio, ricreazione e urbanizzazione. Alcuni progetti di ripristino delle zone umide, per la maggior parte di piccole dimensioni con qualche eccezione, attuati nei fiumi, laghi, paludi e acquitrini mirano a compensare tali perdite anche se generalmente su scala ridotta.
L'estensione delle dune di sabbia si è ridotta del 40% in questo secolo, soprattutto lungo le coste occidentali dell'Europa; un terzo delle perdite è stato registrato a partire dalla metà degli anni settanta. Il fenomeno è dovuto soprattutto all'urbanizzazione, alla destinazione ad usi ricreativi e alla forestazione.
Aumenta la superficie forestale, così come la produzione totale di legname. La silvicoltura "estensiva" , che costituiva in passato la pratica più diffusa, viene soppiantata in misura crescente da metodi più intensivi e standardizzati. Si va diffondendo il ricorso a specie esotiche. Continua la distruzione dei vecchi boschi naturali o seminaturali. La maggior parte delle vecchie foreste, quasi incontaminate, si trova ora nei PECO e nei NSI, benché anche altrove vi siano appezzamenti di minori dimensioni. Gli incendi nei boschi continuano a rappresentare un problema in tutta l'area mediterranea, nonostante si sia registrata una diminuzione dell'area colpita. Il concetto di silvicoltura sostenibile inizia ad essere introdotto nell'ambito dell'uso e gestione delle foreste, anche se non sono ancora riscontrabili effetti generalizzati sulla biodiversità.
La diffusione di metodi agricoli intensivi e l'estendersi del rimboschimento in aree a basso rendimento hanno determinato la rapida distruzione o degrado di habitat agricoli seminaturali come i prati adibiti a pascoli. Questi habitat erano un tempo ampiamente diffusi in Europa e, in relazione alla gestione estensiva dell'agricoltura, presentavano bassi livelli di nutrienti. Attualmente, invece si assiste allimpiego di quantità eccessive di nutrienti e allacidificazione dei terreni. Con la scomparsa di questi habitat, spesso estremamente ricchi di specie vegetali e animali, vi è stata una grave perdita della biodiversità naturale in aree estese.
In tutti i paesi è stata introdotta a livello nazionale e internazionale una vasta gamma di interventi e strumenti legislativi per la tutela delle specie e degli habitat naturali, che hanno ottenuto risultati positivi nella salvaguardia di ampie aree terrestri e marine e nella lotta all'estinzione di numerose specie e habitat naturali. La loro applicazione risulta tuttavia spesso lenta e difficile e non in grado di arrestare il generale degrado. A livello europeo le principali iniziative attualmente in corso sono la realizzazione una rete europea armonizzata di siti naturali e seminaturali nell'UE nel quadro di Natura 2000 e l'imminente creazione della rete EMERALD, prevista dalla Convenzione di Berna, nel resto dell'Europa.
In generale, la conservazione della biodiversità viene spesso considerata meno importante rispetto agli interessi economici o sociali a breve termine dei settori che esercitano un impatto preponderante sulla biodiversità stessa. Uno dei principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi di tutela della biodiversità continua ad essere la necessità di integrare tali obiettivi in altre strategie politiche. La valutazione ambientale strategica delle politiche e dei programmi, insieme agli strumenti legislativi di conservazione della natura, può contribuire in misura rilevante a favorire una tale integrazione.
Fonte: AEA-ETC/NC
A partire dal 1980 in molti paesi si è verificata una generale diminuzione del prelievo totale di acqua. Nella maggior parte di essi il prelievo per usi industriali è in via di lenta diminuzione dal 1980 per l'abbandono di lavorazioni industriali che richiedono un forte dispendio di acqua, per lo sviluppo delle infrastrutture, per l'introduzione di tecnologie più efficienti e per il ricorso più frequente al riciclaggio. Tuttavia, il fabbisogno idrico nelle aree urbane continua in alcuni casi ad essere superiore alle risorse disponibili ed è prevedibile che si verifichino a breve termine carenze nell'approvvigionamento idrico. In futuro le riserve idriche potrebbero anche risentire delle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Nei paesi mediterranei il consumo idrico più elevato si registra nell'agricoltura, principalmente per uso irriguo. Dal 1980 risultano in costante aumento la superficie irrigata e il prelievo di acqua per uso irriguo. Nei paesi europei meridionali il 60% di tutta l'acqua prelevata viene utilizzata per questo uso. In alcune regioni l'eccessivo sfruttamento della falda freatica rispetto alle capacità di rigenerazione della stessa determina l' abbassamento della superficie freatica, il prosciugamento di terreni paludosi e l'intrusione di acque salate in falde acquifere costiere. Fra gli strumenti per contenere il futuro fabbisogno idrico figurano misure di aumento dell'efficienza nell'impiego delle risorse idriche, di controllo dei prezzi e piani di indirizzo dellagricoltura.
Nonostante l'introduzione di obiettivi di qualità dell'acqua nell'UE e l'attenzione attribuita alla qualità dell'acqua all'interno del programma di azione ambientale per l'Europa centrale e orientale, non si segnalano miglioramenti complessivi della situazione dei fiumi rispetto ai dati del 1989/90. I dati relativi ai paesi europei indicano tendenze diverse senza nessun modello geografico prevalente. Si segnalano tuttavia alcuni progressi rispetto agli anni '70 per quanto riguarda la situazione dei fiumi più inquinati.
Il fosforo e l'azoto continuano a provocare l'eutrofizzazione delle acque di superficie. Lutilizzo di tecniche più avanzate di trattamento delle acque reflue e la diminuzione delle emissioni provenienti dai grandi complessi industriali fra il 1980 e il 1995 hanno determinato un calo degli scarichi di fosforo nei fiumi compreso fra il 40 e il 60% in molti paesi. Le concentrazioni di fosforo nelle acque superficiali sono diminuite in misura significativa, soprattutto nelle aree in precedenza più gravemente colpite dal fenomeno. Sono prevedibili ulteriori miglioramenti in quanto i tempi di recupero soprattutto nei laghi possono essere lunghi e richiedere molti anni. Le concentrazioni di fosforo in circa un quarto dei siti fluviali monitorati continuano tuttavia ad essere dieci volte superiori rispetto a quelle delle acque di buona qualità. L'azoto, la cui principale fonte di emissione è il settore agricolo, non crea problemi particolari nei fiumi, ma può determinare notevoli difficoltà una volta trasportato fino al mare; le emissioni devono pertanto essere ulteriormente contenute al fine di tutelare l'ambiente marino.
La qualità delle acque sotterranee risente dell'aumento delle concentrazioni di nitrati e pesticidi utilizzati in agricoltura. Le concentrazioni di nitrati, basse in Europa settentrionale, raggiungono invece livelli elevati in numerosi paesi dell'Europa occidentale e orientale, superando spesso i valori limite fissati dall'UE.
Fra il 1985 e il 1995 l'impiego di pesticidi è calato nell'UE, senza tuttavia che ciò comporti necessariamente una riduzione dell'impatto ambientale, dato il cambiamento della gamma di pesticidi in uso. Le concentrazioni di determinati pesticidi nelle acque sotterranee supera spesso le concentrazioni massime fissate dall'UE. In molti paesi si segnalano inoltre gravi contaminazioni dovute a metalli pesanti, idrocarburi e idrocarburi clorati.
In numerose regioni europee sono in atto politiche integrate di salvaguardia delle acque interne, come per esempio nelle regioni del Mare del Nord, del Mar Baltico, del Reno, dell'Elba e del Danubio. Benché siano stati già ottenuti risultati importanti, una più stretta integrazione delle politiche ambientali con le politiche economiche continua a rappresentare una sfida per il futuro.
La politica agricola, in particolare, rappresenta lo strumento chiave per intervenire sulle emissioni provenienti da fonti diffuse, anche se ciò continua a porre difficoltà di natura tecnica e politica. Nonostante nel quadro della riforma della Politica agricola comune dell'UE siano già in via di adozione misure volte a contenere l'impiego di nutrienti, occorrerà adoperarsi ulteriormente al fine di assicurare che, per esempio, provvedimenti come la messa a dimora dei terreni agricoli siano finalizzati ad ottimizzare i benefici dal punto di vista ambientale.
Le direttive UE relative ai nitrati e al trattamento delle acque reflue urbane dovrebbero consentire di migliorare in misura considerevole la qualità delle acque ma l'efficacia della loro piena attuazione dipende dalla misura in cui gli Stati membri individueranno le aree sensibili e le zone vulnerabili. La proposta di una direttiva quadro sulle acque richiederà inoltre la messa a punto di programmi integrati di gestione e miglioramento. Tale direttiva, se applicata uniformemente in tutta l'UE e associata all'adozione di un approccio basato sulla gestione della domanda dovrebbe consentire di elevare notevolmente la qualità delle acque e una gestione sostenibile delle risorse idriche.
Disponibilità di acqua dolce in Europa
fonte: Eurostat, OCSE,
Istituto di idrologia
I mari maggiormente in pericolo sono il Mare del Nord (a causa della pesca eccessiva e di elevate concentrazioni di nutrienti e inquinanti), il Bacino Iberico (ovvero la parte dell'Atlantico lungo la dorsale atlantica orientale compreso il Golfo di Biscaglia, minacciato dalla pesca eccessiva e da metalli pesanti), il Mare Mediterraneo (che presenta elevate concentrazioni locali di sostanze nutrienti, forti pressioni sulle coste, pesca eccessiva) il Mar Nero (sottoposto a pesca eccessiva e rapido aumento delle concentrazioni di sostanze nutrienti) e il Mar Baltico (in cui si rilevano elevate concentrazioni di sostanze nutrienti, inquinanti e pesca eccessiva).
L'eutrofizzazione, fenomeno dovuto principalmente all'impiego eccessivo di fertilizzanti in agricoltura, desta viva preoccupazione in alcune aree dei mari europei. I livelli di concentrazione delle sostanze nutrienti sono rimasti generalmente invariati rispetto agli inizi degli anni novanta. Gli aumenti delle emissioni di azoto e i conseguenti aumenti delle concentrazioni nelle acque marine di alcune regioni costiere dell'Europa occidentale sembrano essere correlate alle intense precipitazioni e inondazioni verificatesi fra il 1994 e il 1996. Nella maggior parte degli altri mari non sono state individuate tendenze univoche nelle concentrazioni delle sostanze nutrienti. Tuttavia è stato osservato un aumento di dieci volte delle concentrazioni di queste ultime nel Mar Nero, provocato principalmente dall'apporto del Danubio.
La contaminazione dei sedimenti, della flora e della fauna dovuta a sostanze chimiche artificiali sembra essere comune a quasi tutti i mari europei. I dati sono risultati disponibili solo in misura limitata e fanno riferimento principalmente alla situazione in Europa occidentale e nordoccidentale. Nei pesci e nel sedimento sono state riscontrate concentrazioni elevate (superiori ai valori di riferimento naturali) di metalli pesanti e di PCB, con livelli particolarmente elevati nelle aree più vicine alle fonti di emissione. Il fenomeno della bioaccumulazione di tali sostanze può mettere a repentaglio l'equilibrio degli ecosistemi e la salute degli esseri umani (come rilevato nel paragrafo relativo alle sostanze chimiche).
Il quadro complessivo dell'inquinamento da petrolio risulta estremamente frammentario e pertanto non è possibile compiere alcuna fondata valutazione delle tendenze generali. La principale fonte di inquinamento è la terra ferma, dalla quale le sostanze inquinanti vengono trasportate attraverso i fiumi fino al mare. Benché il numero di incidenti con fuoriuscita di petrolio sia in diminuzione, perdite di lieve entità e saltuariamente di grave entità in zone di intenso traffico marittimo provocano significativi danni a livello locale, determinando il soffocamento delle spiagge e degli uccelli marini e distruggendo il raccolto di pesce e molluschi. Non è provato, tuttavia, che possano derivare danni irreversibili agli ecosistemi marini né da perdite di petrolio di grandi dimensioni né dalla fuoriuscita continuata di petrolio.
Molti mari risultano sfruttati dalla pesca eccessiva e ciò determina problemi particolarmente gravi nel Mare del Nord, nei Mari Iberici, nel Mediterraneo e nel Mar Nero. La flotta pescherecci presenta un notevole sovradimensionamento e sarebbe necessario ridurre del 40% la sua capacità per adeguarla alle risorse ittiche disponibili.
Carichi di azoto e di fosforo
Fonte: AEA - ETC/MC
In Europa occidentale sono stati individuati oltre 300.000 siti potenzialmente contaminati, ma si calcola che il numero totale in Europa sia notevolmente superiore.
Benché il Programma ambientale per l'Europa prevedesse l'individuazione dei siti contaminati, per molti paesi non è ancora disponibile un quadro completo. L'entità del fenomeno è di difficile valutazione per la mancanza di definizioni univoche dei dati. La Commissione europea ha attualmente in preparazione un Libro bianco sulla responsabilità ambientale; gli interventi successivi richiedono probabilmente provvedimenti concordati. La maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale hanno introdotto quadri normativi volti a prevenire futuri incidenti e a introdurre misure di risanamento delle contaminazioni esistenti.
In Europa orientale il rischio più grave è determinato dalla contaminazione del suolo attorno alle basi militari abbandonate. Nella maggioranza dei paesi di quest'area si è iniziato a valutare i problemi connessi. In molti PECO e nei NSI, tuttavia, non sono ancora state adottate le misure legislative e finanziarie necessarie per la decontaminazione dei siti.
Un altro grave problema è rappresentato dalla impermeabilizzazione del suolo per cementificazione causata da costruzioni quali, impianti industriali e infrastrutture di trasporto che riducono le possibilità di utilizzo del suolo per le future generazioni.
L'erosione del suolo è in aumento. Circa 115 milioni di ettari sono soggetti ad erosione da parte dell'acqua e 42 milioni di ettari ad erosione da parte del vento. Il problema raggiunge le maggiori dimensioni nella regione mediterranea a causa della sua fragile condizione ambientale, ma interessa anche la maggior parte degli altri paesi europei. L'erosione del suolo è aggravata dall'abbandono dei terreni e dagli incendi nei boschi, in particolare nelle aree marginali. In molte regioni mancano strategie quali il rimboschimento per combattere l'erosione accelerata del suolo.
La salinizzazione del suolo colpisce quasi 4 milioni di ettari, principalmente nei paesi mediterranei e nell'Europa orientale. Il fenomeno è dovuto soprattutto a fattori quali lo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche per l'irrigazione nel settore agricolo, l'incremento demografico, lo sviluppo industriale urbano e l'espansione del turismo nelle regioni costiere. Le principali conseguenze nelle aree coltivate sono la diminuzione delle rese agricole e persino la perdita completa dei raccolti. In molti paesi mancano strategie per combattere la salinizzazione del suolo.
L'erosione e la salinizzazione del suolo hanno determinato un aumento del rischio di desertificazione nelle aree più vulnerabili, soprattutto nella regione mediterranea. I dati sulla gravità e l'estensione della desertificazione sono attualmente insufficienti. E' necessario impegnarsi ulteriormente per mettere a punto strategie di prevenzione, eventualmente nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione.
Dati disponibili sul numero di siti sicuramente e potenzialmente
contaminati
|
Fonte: AEA-ETC/S
Ambiente urbano
L'urbanizzazione è in aumento nonostante circa tre quarti della popolazione in Europa occidentale e nei NSI e poco meno dei due terzi della popolazione dei PECO risiedano già in aree urbane.
Il rapido incremento del trasporto privato e il consumo ad elevata intensità di risorse sono i fattori che minacciano in misura preponderante l'ambiente urbano e, di conseguenza, la salute e il benessere degli esseri umani. In molte città le automobili rappresentano l'80% del trasporto a motore. Secondo previsioni sulla crescita dei trasporti in Europa occidentale basate sull'andamento attuale, la domanda nei settori passeggeri e merci potrebbe quasi raddoppiare fra il 1990 e il 2010, il numero di automobili potrebbe aumentare del 25-30% e il numero di chilometri percorsi ogni anno per automobile potrebbe salire del 25%. L'attuale crescita della mobilità urbana e dell'acquisto di auto private nelle aree urbane dei PECO è destinata ad assumere un ritmo ancora più rapido nel corso dei prossimi dieci anni, con il conseguente aumento dei consumi energetici e delle emissioni derivanti dai trasporti.
In generale la qualità dell'aria nella maggior parte delle città europee è migliorata. Le concentrazioni annue di piombo sono calate nettamente negli anni novanta a causa della riduzione del tenore di piombo nella benzina e, in base ai dati raccolti, anche le concentrazioni di altri inquinanti appaiono in diminuzione. In alcune città dei PECO, invece, è stato registrato un modesto incremento nelle concentrazioni di piombo nel corso degli ultimi cinque anni, dovuto all'aumento del traffico. La prevista graduale cessazione dell'uso di benzina contenente piombo dovrebbe porvi rimedio.
L'inquinamento da ozono continua a rappresentare un grave problema in alcune aree urbane, in cui si registrano elevate concentrazioni per tutta l'estate. Nella maggior parte delle città di cui sono disponibili dati è stato registrato il superamento dei valori fissati nelle linee guida dell'OMS sulla qualità dell'aria per l'anidride solforosa, il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto e i particolati. I dati relativi al benzene sono scarsi. Sembra comunque diffuso il superamento dei limiti indicati nelle linee guida dell'OMS sulla qualità dell'aria.
Dalla lettura dei risultati relativi alle 115 grandi città europee risulta che circa 25 milioni di persone sono esposte a condizioni di smog nel periodo invernale (in cui vengono superati i limiti di SO2 e particolati previsti dalle linee guida sulla qualità dell'aria). Il numero di persone esposte a condizioni di smog nel periodo estivo (dovuto all'inquinamento da ozono) raggiunge i 37 milioni; quasi 40 milioni di persone sono state esposte almeno una volta all'anno a valori superiori a quelli indicati nella direttiva dell'OMS.
In Europa occidentale le principali fonti di inquinamento atmosferico - dovuto in passato ai processi industriali e alla combustione di carbone e di combustibili ad alto tenore di zolfo - sono attualmente gli autoveicoli a motore e la combustione di combustibili gassosi. Poiché si prevede un ulteriore considerevole espansione dei trasporti, è previsto anche l'aumento delle emissioni derivanti dai trasporti, che provocherà l'aggravamento dell'inquinamento atmosferico nelle aree urbane. Nei PECO e nei NSI è in atto un'analoga tendenza, anche se a un ritmo più contenuto.
Circa 450 milioni di persone in Europa (il 65% della popolazione) sono esposte a livelli elevati di inquinamento acustico (superiori ai livelli sonori equivalenti (Leq) 24 h 55 dB (A)). Circa 9,7 milioni di persone sono esposte a livelli inaccettabili di inquinamento acustico (superiori a Leq 24 h 75 dB (A)).
Il consumo idrico è aumentato in numerose città europee: nel 60% delle grandi città europee si segnala l'eccessivo sfruttamento delle acque sotterranee e delle risorse idriche disponibili. Si ritiene che la qualità delle acque potrebbe limitare in misura crescente lo sviluppo urbano nei paesi soggetti a carenze d'acqua, soprattutto nell'Europa meridionale. In numerose città dell'Europa settentrionale, invece, è stato rilevato un calo nel consumo idrico. In generale le risorse idriche potrebbero essere impiegate in modo più razionale, visto che nel settore domestico soltanto una percentuale ridotta dell'acqua viene usata per bere o cucinare e che grandi quantità (dal 5% fino a oltre il 25%) vengono sprecate a causa di perdite degli impianti.
I problemi urbani non riguardano esclusivamente le città. Sono necessarie superfici di terreno sempre più vaste per fornire alla popolazione delle grandi città le risorse di cui ha bisogno e per abbattere le emissioni e smaltire i rifiuti prodotti.
Nonostante i progressi compiuti con l'introduzione della gestione ambientale nelle città europee, molti problemi restano ancora irrisolti. Negli ultimi cinque anni un numero crescente di amministrazioni comunali ha iniziato a sperimentare metodi di sviluppo sostenibile nel quadro delle politiche locali di Agenda 21, che comprendono fra l'altro misure volte a ridurre il consumo di acqua, energia e materie prime, la pianificazione più attenta dell'uso del territorio e dei trasporti e il ricorso a strumenti economici. Oltre 290 città hanno partecipato finora alla Campagna europea città sostenibili.
I dati relativi a numerosi aspetti dell'ambiente urbano - quali per esempio il consumo idrico, la produzione di rifiuti urbani, il trattamento delle acque reflue, l'inquinamento acustico e atmosferico - sono ancora insufficienti e non consentono una valutazione completa dei mutamenti in atto nell'ambiente urbano in Europa.
Concentrazioni medie annuali di NO2, 1990-'95
Fonte: AEA-ETC/AQ
Risici tecnologici e naturale
In base alla scala internazionale degli incidenti nucleari (International Nuclear Event Scale, INES) dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, non si sono verificati "incidenti gravi" (livelli INES 4-7) in Europa dal 1986 (Chernobyl è stato classificato al livello INES 7). Nella maggior parte dei casi gli eventi segnalati sono stati classificati come "anomalie" (livello INES 1) e vi sono stati soltanto alcuni "incidenti lievi" (livelli INES 2-3).
Negli ultimi 10 anni vi è stata una significativa diminuzione su scala mondiale del numero annuo di grandi sversamenti di petrolio. Tuttavia negli ultimi 5 anni tre dei più gravi episodi di sversamento di petrolio mai avvenuti nel mondo si sono verificati in Europa occidentale e hanno determinato la perdita di quantità di petrolio percentualmente molto elevate.
È in continuo aumento lo sviluppo di numerose attività che possono provocare incidenti gravi e si riscontra una crescente vulnerabilità di alcune di queste attività e infrastrutture a eventi naturali pericolosi. La seconda direttiva "Seveso", grazie al suo vasto campo di applicazione, al suo approccio integrato e alla particolare attenzione rivolta alla prevenzione degli incidenti, fornisce gran parte del quadro necessario per una più adeguata gestione dei rischi. Occorre ora procedere alla sua applicazione da parte delle industrie e delle autorità preposte al regolamentazione e alla programmazione. Tale direttiva fornisce anche un modello all'Europa orientale, dove non esiste un quadro legislativo transnazionale di tale ampiezza. Si avverte tuttavia in generale anche l'esigenza di far fronte ad altri rischi, non derivanti dall'attività industriale.
Negli anni '90 si è verificato un numero eccezionalmente elevato di inondazioni che hanno provocato gravi danni e numerose vittime. Benché la spiegazione più probabile sia la naturale variabilità del flusso delle acque, gli effetti potrebbero essere stati amplificati dall'impatto delle attività umane sul ciclo idrologico.
In der EU ist die Zahl der jährlich gemeldeten großen Industrie-Unfälle seit 1984 in etwa gleich geblieben. Da in dieser Zeit sowohl die Meldehäufigkeit als auch die gewerbliche Tätigkeit zunahm, kann davon ausgegangen werden, daß die Zahl der Unfälle pro Industrieeinheit abgenommen hat. Die derzeitig verfügbare Datenbasis erstreckt sich nicht auf Osteuropa.
Sversamenti di petrolio in Europa 1970-1996
Fonte: ITOPF
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