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Nel maggio 2016 l’Associazione portoghese delle energie rinnovabili ha annunciato che il Portogallo ha soddisfatto il proprio fabbisogno energetico interamente grazie alle fonti rinnovabili per quattro giorni consecutivi e precisamente per 107 ore. Risultati come questo stanno diventando sempre più frequenti in tutta l’UE: vi sono giorni in cui la Danimarca riesce a generare oltre il 100 % del proprio fabbisogno energetico grazie alla sola energia eolica, con scorte sufficienti per alimentare parti della Germania e della Svezia.
Le fonti rinnovabili costituiscono una quota in rapida crescita dell’energia utilizzata in Europa. Nondimeno, la maggior parte dell’energia consumata nell’UE proviene ancora dai combustibili fossili (72,6 % in termini di consumo interno lordo nel 2015), benché la loro quota nel mix energetico si stia costantemente riducendo.
Analogamente, tra il 2005 e il 2015 il consumo energetico complessivo europeo è sceso di più del 10 % e nel 2015 è stato pari a quasi 1 630 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) [1]. Questo calo considerevole è frutto dei miglioramenti in materia di efficienza energetica, dell’aumento della quota di energia proveniente dalle fonti idroelettriche, eoliche e solari fotovoltaiche, dei cambiamenti strutturali dell’economia e della recessione economica del 2008. Anche gli inverni più caldi hanno contribuito a questo fenomeno attraverso la riduzione della quantità di energia utilizzata per il riscaldamento.
Il progressivo abbandono dei combustibili fossili è particolarmente marcato in molti settori: la diminuzione più consistente tra il 1990 e il 2015 è stata riscontrata nella generazione di energia elettrica dal carbone e dalla lignite, che è stata sostituita in primo luogo dalla produzione di energia elettrica dal gas naturale negli anni ’90 e fino al 2010, perlopiù a causa del calo dei prezzi del gas. In tempi più recenti, però, il gas naturale ha perso terreno a causa di una combinazione di fattori, tra cui si annoverano la rapida adozione della generazione di energia da fonti rinnovabili e la recessione economica del 2008, con la conseguente riduzione del fabbisogno complessivo di energia elettrica. Anche l’aumento dei prezzi del gas (trainato dalla loro indicizzazione alle quotazioni del petrolio) e i bassi livelli di costo delle quote di emissione, dovuti alla loro eccedenza sul mercato, hanno fatto la loro parte.
È chiaro che la sostituzione del carbone e del petrolio con alternative più pulite contribuisce a ridurre considerevolmente le emissioni di gas a effetto serra, in particolare in settori strettamente connessi al consumo di energia elettrica. Infatti anche questa sostituzione favorisce l’attuale transizione energetica europea da un sistema basato prevalentemente sui combustibili fossili a un sistema basato su fonti rinnovabili e non inquinanti.
Nel 2015 l’energia nucleare ha prodotto il 26,5 % dell’elettricità nell’UE e resta una delle maggiori fonti produttrici dopo i combustibili fossili e le rinnovabili. Diversi paesi dell’UE intendono procedere con lo smantellamento delle centrali nucleari dopo l’incidente di Fukushima nel 2011; da allora, in alcuni paesi i costi di produzione dell’energia nucleare sono aumentati per via degli investimenti supplementari nelle misure di manutenzione e di sicurezza che rendono l’energia elettrica proveniente dalle fonti nucleari più cara e, di conseguenza, meno competitiva rispetto a quella ricavata da altre fonti. Inoltre è noto che, una volta verificatisi, questi incidenti nucleari colpiscono l’opinione pubblica, i cui mutamenti, assieme agli aspetti relativi all’aumento dei costi, inducono alcuni governi a smantellare le centrali nucleari e/o ad investire in altre fonti energetiche.
Una volta operativa, una centrale può generare elettricità per decenni. Quando si sceglie quale fonte utilizzare per la produzione di energia occorre tenere conto delle centrali esistenti e di quelle in progetto, nonché delle loro capacità e della loro durata di esercizio; ignorandole si andrebbe incontro al rischio di finire per investire in nuove centrali basate sui combustibili fossili. Inoltre, tali decisioni andrebbero prese tenendo presenti gli obiettivi climatici dell’UE a lungo termine.
Dal 2005 l’energia rinnovabile è in rapida espansione e ha colto di sorpresa molti operatori del mercato. Tale crescita è attribuibile alle politiche di sostegno delle energie rinnovabili a livello nazionale e di UE, oltre alle consistenti riduzioni dei costi delle tecnologie energetiche rinnovabili negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda l’eolico e il solare fotovoltaico. Infatti, tutti gli Stati membri dell’UE hanno attuato politiche in materia di energia rinnovabile e sviluppato regimi di sostegno per favorire l’impiego di queste fonti.
Gli effetti di questo impegno sono già visibili: al giorno d’oggi molte famiglie europee possono acquistare elettricità generata da fonti rinnovabili come l’eolico, il solare e la biomassa. Dal punto di vista della produzione, ad esempio, nel 2015 l’energia rinnovabile ha rappresentato il 77 % delle nuove capacità produttive nell’UE.
Secondo i dati di Eurostat più recenti, in termini di consumo finale lordo di energia ([2]), la percentuale di energia proveniente da fonti rinnovabili è aumentata dal 9 % riscontrato nel 2005 fino a sfiorare il 17 % nel 2015. Questo è uno degli indicatori chiave della strategia Europa 2020, che stabilisce il traguardo del 20 % del consumo finale lordo da fonti rinnovabili entro quella data. Le istituzioni dell’UE stanno attualmente discutendo una proposta che fisserebbe ad una percentuale del 27 % almeno il traguardo dell’Unione per il 2030, poiché si prevede che le rinnovabili svolgeranno un ruolo ancora più importante per far sì che l’Europa soddisfi il proprio fabbisogno energetico futuro.
L’adozione dell’energia rinnovabile varia a seconda del paese e del settore del mercato energetico (elettricità, riscaldamento e raffreddamento, trasporto). Nel 2015 l’energia rinnovabile ha rappresentato una parte significativa del consumo energetico nei settori del relativo mercato, pur contribuendo solo per il 6,7 % dell’utilizzo dell’energia nei trasporti nonostante l’aumento del consumo di biocarburanti.
Negli ultimi anni il trasporto su strada ha registrato miglioramenti considerevoli in termini di efficienza energetica; ciò si può spiegare con l’aumento dell’efficienza nel consumo di carburante dovuto all’introduzione delle norme UE sulle emissioni delle automobili e dei nuovi mezzi leggeri. Malgrado tale aumento, la crescita della domanda di trasporti su strada ha causato un lieve incremento delle emissioni di gas a effetto serra di questo settore nel 2014 e nel 2015.
Pur riducendosi, le emissioni per passeggero-chilometro ([3]) del trasporto aereo sono ancora nettamente più elevate di quelle del trasporto su strada, mentre quello ferroviario rimane la modalità di trasporto di passeggeri con il numero più basso di emissioni per passeggero-chilometro.
In tutti gli Stati membri dell’UE il consumo delle rinnovabili è in aumento dal 2005. La Svezia è di gran lunga il paese che vanta la percentuale più alta: nel 2015 il 53,9 % del suo consumo finale lordo di energia proveniva da fonti rinnovabili; seconda è la Finlandia, seguita da Lettonia, Austria e Danimarca. Di fatto, 11 Stati membri hanno già raggiunto o superato il proprio obiettivo del 2020, fissato dalla direttiva dell’UE sull’energia da fonti rinnovabili.
Le fonti di energia rinnovabile variano considerevolmente da uno Stato membro dell’UE all’altro: per esempio, l’Estonia ricorre quasi interamente alla biomassa solida, mentre in Irlanda più della metà della produzione di energia primaria rinnovabile proviene dall’energia eolica e, in Grecia, il consumo di energia rinnovabile fa leva su una più vasta gamma di fonti, biomassa compresa, seguita dalle fonti idroelettriche, eoliche e solari.
I rifiuti nucleari sono notoriamente difficili da smaltire in sicurezza, mentre i combustibili fossili sono strettamente associati all’inquinamento atmosferico e ai cambiamenti climatici. La combustione dei combustibili fossili rilascia inquinanti ambientali (ossidi di azoto e di zolfo, composti organici volatili diversi dal metano e particolato sottile) e gas a effetto serra nell’atmosfera. Anche la combustione della biomassa può produrre effetti analoghi sulla qualità dell’aria e sui cambiamenti climatici. Inoltre, i biocarburanti possono creare problemi legati all’uso del suolo, comportando maggiori pressioni sui terreni e sulle risorse idriche. L’impiego di residui agricoli e forestali e dell’olio da cucina usato per produrre biocarburanti di seconda generazione può contribuire a ridurre in parte tali pressioni.
Alcuni settori economici sono strettamente connessi a specifici inquinanti atmosferici. Poiché la maggior parte dei veicoli stradali hanno motori a combustione, il trasporto su strada è una fonte considerevole di ossidi di azoto e di particolato che incide in particolare sulla qualità dell’aria urbana. Analogamente, il settore della produzione e della distribuzione di energia è responsabile, tra le altre cose, di più della metà delle emissioni di ossidi di zolfo e di un quinto delle emissioni di ossidi di azoto nei 33 paesi membri del SEE (SEE-33) ([4]).
Sebbene le emissioni di inquinanti atmosferici siano sensibilmente diminuite nella maggior parte dei paesi UE, i livelli attuali rappresentano tuttora un grave rischio per la salute umana poiché gli inquinanti atmosferici possono aggravare, tra l’altro, malattie respiratorie e cardiovascolari. Inoltre, a seconda dell’agente inquinante, possono contribuire ai cambiamenti climatici e incidere sull’ambiente: per esempio, il particolato carbonioso (nero di carbone o nerofumo) è uno dei componenti comuni della fuliggine rilevato principalmente in particelle sottili (con un diametro inferiore a 2,5 micron). Nelle aree urbane, le emissioni di nerofumo sono causate principalmente dal trasporto stradale, in particolare dai motori diesel; al di là dei suoi effetti sulla salute umana, il nerofumo presente nel particolato contribuisce al cambiamento climatico, assorbendo il calore del sole e riscaldando l’atmosfera.
Qualunque sia il carburante che scegliamo per soddisfare il nostro fabbisogno energetico, esso richiederà l’impiego di risorse (suolo, acqua, minerali, legno ed energia). Nel caso dei combustibili fossili, per servirsi di nuove riserve ed estrarle bisognerebbe impiegare fondi pubblici e privati nella costruzione di nuovi siti onshore e offshore, centrali e raffinerie, condutture per trasportarle, ecc. Oltre al loro impatto sulla salute, sulla qualità dell’aria e sul clima, la domanda supplementare e la dipendenza dai combustibili fossili potrebbero anche indurre alcuni paesi a espandere le proprie attività di trivellazione a nuove regioni e utilizzare più terreni e zone marine per l’estrazione, cosa che comporterebbe nuovi rischi (quali fuoriuscite di idrocarburi e inquinamento).
Analogamente, una crescita esponenziale delle rinnovabili si potrebbe associare all’aumento della domanda di materiali quali terre rare, utilizzate nelle batterie o nei pannelli fotovoltaici. Come altre attività di generazione di energia, anche i pannelli solari e i parchi eolici richiedono spazio, sul suolo o sul mare. Parimenti, i terreni produttivi e le risorse di acqua dolce sono molto richiesti per la produzione di bioenergia, ivi compreso per quella di biomassa e di biocarburanti. Non sempre è facile determinare quanto terreno (o quanta superficie in generale) occorra per produrre energia rinnovabile in quantità sufficienti per eliminare gradualmente i combustibili fossili. Inoltre, il potenziale produttivo di energia ottenibile dalle energie rinnovabili puó variare considerevolmente da una regione all’altra. Alcuni paesi potrebbero disporre di un potenziale eolico e solare più elevato, mentre altri potrebbero soddisfare quasi tutto il proprio fabbisogno grazie all’energia geotermica.
Inoltre, che si tratti di pannelli solari, di condutture o di centrali, fra qualche anno gli impianti e le infrastrutture per la produzione di energia diverranno obsoleti e occorrerà anche stabilire cosa fare con i materiali utilizzati alla fine del loro ciclo di vita. Infatti, l’energia rinnovabile può offrirci l’opportunità di progettare le nostre soluzioni tecniche (come per esempio i pannelli solari) secondo i principi dell’economia circolare, in base a cui si possono riutilizzare, recuperare e riciclare diversi componenti e risorse.
I potenziali benefici non si esauriscono con la fine del ciclo di vita dei componenti e con il loro riutilizzo e riciclo. Una migliore pianificazione del paesaggio e progettazione (per esempio mediante l’integrazione dei pannelli solari con i materiali dei tetti o con le barriere antirumore delle autostrade) possono inoltre mitigare alcuni timori relativi all’uso del suolo, nonché all’inquinamento acustico e visivo.
La progettazione o le soluzioni tecnologiche possono certamente contribuire a ridurre gli impatti negativi sul nostro consumo energetico attuale. Come famiglie, investitori, consumatori e responsabili delle politiche, le nostre scelte a favore del consumo di energia pulita e intelligente potrebbero rappresentare una forza tale da favorire , entro qualche decennio, una revisione completa delle nostre modalità di consumo e produzione di energia.
Analogamente, un utilizzo più efficiente di tutte le risorse mediante la prevenzione dei rifiuti, il riutilizzo e il riciclo, potrebbe servire a ridurre il fabbisogno energetico complessivo. Dopotutto, usiamo l’energia per coltivare alimenti e produrre prodotti di consumo e, ogni volta che li buttiamo via, sprechiamo le risorse (energia, acqua, suolo e forza lavoro) impiegate per produrli e portarli fino a noi.
([1]) Per motivi di comparabilità, il tenore di energia di vari combustibili è stato convertito in equivalenti di petrolio, ossia in termini di contenuto energetico.
([2]) Per consumo finale lordo di energia si intendono i prodotti energetici forniti a scopi energetici ai consumatori finali (industria, trasporti, famiglie, servizi, agricoltura, silvicoltura e pesca), ivi compreso il consumo di elettricità e di calore del settore elettrico per la produzione di elettricità e calore, comprese le perdite di elettricità e di calore associate a distribuzione e trasmissione.
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