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Gravi rischi per la vita sott’acqua

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Article Pubblicato 14/02/2019 Ultima modifica 29/08/2023
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Photo: © Bojan Bencic, WaterPIX / EEA
La vita nei corpi d’acqua dolce e nei mari d’Europa è in difficoltà. Lo stato scadente degli ecosistemi ha un impatto diretto su molti animali e piante acquatici e influisce su altre specie e sugli esseri umani che dipendono dall’acqua pulita. Lo stato dei mari europei è pietoso, principalmente a causa della pesca eccessiva e dei cambiamenti climatici, mentre i corpi d’acqua dolce soffrono per l’eccesso di sostanze nutrienti e l’alterazione degli habitat. Infine, l’inquinamento da sostanze chimiche ha un impatto negativo sull’ambiente sia di acqua dolce sia marino.

L’acqua – da fiumi e laghi a zone umide e mari – ospita molti animali e piante, mentre innumerevoli altre specie ne dipendono. Per le persone, i corpi idrici sono fonte di salute, cibo, reddito ed energia, nonché le principali vie di trasporto e luoghi di svago.

Per secoli, gli esseri umani hanno alterato i corpi idrici europei per produrre cibo ed energia e proteggersi dalle inondazioni. Queste attività sono state fondamentali per lo sviluppo economico e sociale dell’Europa, ma hanno anche danneggiato la qualità dell’acqua e gli habitat naturali dei pesci e di altre forme di vita acquatica, specialmente nei fiumi. In molti casi, l’acqua ha anche il compito spiacevole di trasportare l’inquinamento che emettiamo nell’aria, nel suolo e nell’acqua stessa e, in alcuni casi, è anche la destinazione finale dei nostri rifiuti e prodotti chimici.

In breve, siamo stati abbastanza efficienti nel cogliere i benefici dell’acqua, ma ciò ha comportato un costo per l’ambiente naturale e per l’economia. Molti idro-ecosistemi e specie acquatiche sono minacciati: molte popolazioni di pesci stanno diminuendo, troppi o troppo pochi sedimenti17 raggiungono il mare, l’erosione costiera è in aumento e così via. Alla fine, tutti questi cambiamenti avranno anche un impatto sui servizi apparentemente gratuiti che i corpi idrici forniscono attualmente all’uomo.

Laghi, fiumi e acque costiere d’Europa - Rischio persistente

Inquinamento, eccessiva estrazione e alterazioni fisiche – come dighe e rettificazione – continuano a danneggiare i corpi d’acqua dolce in tutta Europa. Queste pressioni spesso producono un effetto combinato sugli idro-ecosistemi, contribuendo alla perdita di biodiversità e mettendo a rischio la possibilità che l’uomo continui a trarre vantaggio dall’acqua.

Secondo la recente relazione dell’AEA, Acque europee: valutazione della situazione e delle pressioni 201818, solo il 39 % delle acque superficiali raggiunge uno stato ecologico buono o elevato. In genere, i fiumi e le acque di transizione che conducono a un ambiente marino (ad esempio, aree del delta) sono in condizioni peggiori rispetto ai laghi e alle acque costiere. Lo stato ecologico dei corpi idrici naturali è generalmente migliore rispetto a quello dei corpi idrici fortemente alterati e artificiali, come riserve d’acqua, canali e porti.

Il lato positivo: le acque sotterranee dell’Europa, che in molti paesi forniscono l’80-100 % dell’acqua potabile, sono generalmente pulite, considerato che il 74 % delle aree di acqua freatica evidenzia un buono stato chimico.

I principali problemi dei corpi idrici superficiali comprendono l’eccessivo inquinamento dato dai nutrienti provenienti dall’agricoltura, l’inquinamento chimico depositato dall’aria e alterazioni basali che degradano o distruggono gli habitat, in particolare per i pesci.

Per aumentare la resa delle colture, l’agricoltura intensiva si basa su fertilizzanti sintetici, che spesso agiscono introducendo azoto e altri composti chimici nel terreno. L’azoto è un elemento chimico abbondante in natura ed essenziale per la crescita delle piante, che tuttavia assorbono solo in parte quello destinato alle colture. Questo potrebbe avvenire per una serie di motivi, quali ad esempio il fatto che la quantità di fertilizzante impiegata è maggiore di quella che la pianta può assorbire oppure non coincide con il periodo di crescita della pianta, per cui l’eccesso di azoto finisce nei corpi idrici.

Analogamente al suo impatto sulle colture terrestri, l’eccesso di azoto nell’acqua stimola la crescita di alcune piante acquatiche e alghe secondo un processo noto come eutrofizzazione. Questa ulteriore crescita riduce l’ossigeno nell’acqua a scapito di altre specie che vivono in quel corpo idrico. L’agricoltura, tuttavia, non è l’unica fonte di azoto che finisce nell’acqua. Anche gli impianti industriali o i veicoli alimentati a gasolio possono rilasciare quantità significative di composti azotati nell’atmosfera, i quali successivamente vengono depositati su superfici terrestri e acquatiche.

Le emissioni industriali di metalli pesanti nell’acqua stanno diminuendo rapidamente, secondo una recente analisi dell’AEA dei dati contenuti nel registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR19). L’analisi ha rilevato che le pressioni ambientali causate dalle emissioni industriali20 di otto metalli pesanti principali (v) nell’acqua sono diminuite del 34 % dal 2010 al 2016. Le attività minerarie hanno rappresentato il 19 % e l’acquacoltura intensiva il 14 % di tali pressioni. Nell’acquacoltura intensiva sono rame e zinco a essere rilasciati in mare dalle gabbie dei pesci, nelle quali vengono utilizzati i suddetti metalli per proteggerle dalla corrosione e dalla crescita di organismi marini. Gli effetti nocivi dei metalli pesanti possono includere, ad esempio, problemi di apprendimento, comportamentali e di fertilità negli animali e negli esseri umani.

Altre fonti di inquinamento stanno emergendo, quali per esempio, negli ultimi anni, quello da prodotti farmaceutici, come antibiotici e antidepressivi, che è stato rilevato in modo crescente nell’acqua e sta incidendo sulla produzione ormonale e sul comportamento delle specie acquatiche.

Iniziative intraprese — Possibile incidenza dei tempi necessari a produrre effetti

Il pessimo stato dei corpi idrici non è migliorato nell’ultimo decennio, nonostante gli sforzi degli Stati membri dell’UE, tra cui la lotta alle fonti di inquinamento, il ripristino degli habitat naturali e l’installazione di zone di passaggio per i pesci intorno alle dighe. Considerato che sui fiumi europei si trova un numero impressionante di dighe e riserve d’acqua, la portata delle misure adottate potrebbe essere troppo ridotta per ottenere un miglioramento significativo. È anche possibile che vi sia un ritardo a livello di tempistiche e che alcune di queste misure si tradurranno in miglioramenti tangibili nel lungo termine.

Un’indicazione positiva che possiamo già osservare sono i chiari progressi compiuti nel trattamento delle acque reflue urbane e nella riduzione delle acque nere emesse nell’ambiente. Le concentrazioni di inquinanti legati allo scarico delle acque reflue, come l’ammonio e il fosfato, nei fiumi e nei laghi europei sono diminuite notevolmente negli ultimi 25 anni. Un indicatore AEA sul trattamento delle acque reflue urbane21 mostra anche un miglioramento continuo sia della copertura sia della qualità del trattamento dappertutto in Europa.

Zone umide sotto pressione

Insieme alle dune e alle praterie, le zone umide sono uno degli ecosistemi più minacciati22 in Europa. Tali aree, tra cui torbiere attive, acquitrini e paludi, svolgono un ruolo cruciale in quanto punto d’incontro degli habitat acquatici e terrestri nel quale vive e dal quale dipende una ricca varietà di specie che purificano l’acqua, offrono protezione contro le inondazioni23 e la siccità, forniscono alimenti essenziali come il riso e proteggono le zone costiere dall’erosione.

In gran parte a causa del drenaggio agricolo, tra il 1900 e la metà degli anni ’80 l’Europa ha perso due terzi delle sue zone umide, che oggi rappresentano solo il 2 % circa del territorio dell’UE24 e il 5 % circa della superficie complessiva di Natura 2000. Sebbene nell’UE la maggior parte dei tipi di habitat delle zone umide siano protetti, le valutazioni dello stato di conservazione mostrano che l’85 % presenta uno stato sfavorevole; di tale percentuale, al 34 % è attribuibile uno stato scadente e al 51 % un cattivo stato.

Mari europei — Produttivi, ma non sani o puliti

I mari europei ospitano una grande varietà di organismi ed ecosistemi marini, oltre a costituire un’importante fonte di alimenti, di materie prime e di energia.

Il rapporto dell’AEA Stato dei mari europei25 ha rilevato che la biodiversità marina dell’Europa si sta deteriorando. Tra le specie e gli habitat marini valutati dal 2007 al 2012, solo il 9 % degli habitat e il 7 % delle specie hanno mostrato uno “stato di conservazione favorevole”. Inoltre, la biodiversità marina rimane studiata in modo insufficiente, in quanto circa quattro valutazioni su cinque delle specie e degli habitat nell’ambito della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino sono classificate come “sconosciute”.

La pesca eccessiva, l’inquinamento da sostanze chimiche e i cambiamenti climatici sono tra le principali ragioni dello stato scadente degli ecosistemi nei mari europei. Una combinazione di queste tre pressioni ha portato a importanti cambiamenti in tutti e quattro i mari europei: il Mar Baltico, l’Oceano Atlantico nord-orientale, il Mar Mediterraneo e il Mar Nero. Spesso, le acque limpide e la loro varietà di pesci e di fauna sono state sostituite da alghe, fioriture di fitoplancton e piccoli pesci che se ne nutrono. Questa perdita di biodiversità colpisce l’intero ecosistema marino e ne pregiudica i relativi benefici.

Le specie esotiche invasive, che si spostano verso i mari europei a causa dei cambiamenti climatici e dell’espansione delle rotte di trasporto marittimo, rappresentano un’altra grave minaccia per la biodiversità marina. In assenza dei loro predatori naturali, le popolazioni di specie esotiche sono in grado di espandersi rapidamente a scapito delle specie locali e possono causare danni irreversibili. Come nel caso della medusa a pettine, introdotta nel Mar Nero tramite l’acqua di zavorra delle navi, le specie esotiche invasive possono addirittura causare il collasso di alcune popolazioni ittiche e delle attività economiche dipendenti da tali stock.

Nonostante queste ardue sfide, tuttavia, gli ecosistemi marini hanno finora dimostrato una grande resilienza. Solo alcune delle specie marine europee si sono estinte e, ad esempio, l’eccessivo sfruttamento degli stock valutati nell’Oceano Atlantico nord-orientale è diminuito sostanzialmente dal 94 % nel 2007 al 41 % nel 2014. In alcune aree, determinate specie, come il tonno rosso, mostrano segni di ripresa e alcuni ecosistemi stanno iniziando a ristabilirsi dalle conseguenze dell’eutrofizzazione.

Analogamente, negli ultimi anni una percentuale crescente dei mari europei è stata designata come area marina protetta: alla fine del 2016, infatti, gli Stati membri dell’UE avevano dichiarato il 10,8 % delle proprie aree marine come facenti parte di una rete di aree marine protette, confermando così che l’UE ha già raggiunto il traguardo di una copertura del 10 % entro il 2020 (target di Aichi n. 1126) concordato nell’ambito della Convenzione sulla diversità biologica nel 2010. 

Nonostante tali miglioramenti, il rapporto dell’AEA sullo stato dei mari dell’Europa constata che gli ecosistemi marini europei mantengono un certo grado di resilienza e che il ripristino di una vita marina sana è ancora possibile con gli interventi giusti. Ciò, tuttavia, richiederà decenni e potrà avvenire solo se le pressioni che attualmente minacciano le specie animali e vegetali del mare verranno considerevolmente ridotte.

Politiche dell’UE incisive, ma dall’attuazione insufficiente

L’obiettivo principale della politica in materia di acque dell’Unione europea (UE) è stato quello di garantire una quantità sufficiente di acqua di buona qualità disponibile per soddisfare i bisogni dei cittadini e dell’ambiente. In questo contesto, l’elemento chiave della normativa UE, la direttiva quadro sulle acque, ha obbligato tutti gli Stati membri dell’UE a raggiungere un buono stato di tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei entro il 2015, a meno che non vi fossero motivi di esenzione quali, ad esempio, le condizioni naturali o i costi sproporzionati. A seconda del motivo, i termini possono essere prorogati o gli Stati membri possono essere autorizzati a darsi obiettivi meno rigorosi.

Il raggiungimento di uno “stato buono” comporta il rispetto di tutti e tre gli standard in materia di ecologia, composizione chimica e quantità delle acque. In generale, ciò significa che l’acqua mostra solo un leggero cambiamento rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare in condizioni inalterate. Fino ad ora, per la maggior parte delle loro acque superficiali e sotterranee gli Stati membri non hanno raggiunto questo obiettivo.

Mediante le direttive sugli uccelli e sugli habitat27 (spesso definite direttive sulla natura), l’UE protegge le specie e gli habitat più a rischio nonché tutti gli uccelli selvatici. In questo contesto, vengono messe in atto una serie di misure, tra cui la rete Natura 2000 di aree protette, per prevenire o ridurre al minimo gli impatti sulle specie e sugli habitat interessati da tali direttive UE. Sebbene copra una parte significativa dei mari europei, la rete marina Natura 2000 non è ancora completa e molti siti non dispongono di adeguate misure di conservazione.

Per raggiungere una maggiore coerenza tra le politiche legate al settore marittimo e per proteggere più efficacemente l’ambiente marino, nel 2008 gli Stati membri dell’UE hanno concordato la direttiva quadro europea sulla strategia per l’ambiente marino28. La direttiva si pone tre obiettivi principali: i mari europei devono essere 1) sani, 2) puliti e 3) produttivi. Secondo la valutazione dell’AEA, i mari europei non sono sani né puliti e non è chiaro per quanto tempo possano rimanere produttivi.

Riconoscendo questa situazione, il piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia della Commissione europea29, pubblicato nell’aprile 2017, mira a migliorare significativamente l’attuazione delle direttive sulla natura, con programmi d’azione che dovrebbero contribuire direttamente alle iniziative di conservazione del mare.

(v) Il rapporto dell’AEA valuta le emissioni di arsenico, cadmio, cromo, rame, piombo, mercurio, nichel e zinco.

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